IL PROGETTO

Il programma di ricerca sul luppolo selvatico italiano nasce nel 2011 grazie alla collaborazione con il Comune di Marano sul Panaro (MO) e con l’Università degli studi di Parma. Nel 2011 sono anche state raccolte sull’intero territorio nazionale diverse varietà selvatiche.

Lo studio ha visto la luce nella primavera del 2012 in un campo pilota attiguo al fiume Panaro. Il terreno si è presentato adeguato al tipo di coltivazione essendo drenante e sabbioso. Sono stati realizzati quattro filari per ospitare circa trecento piante, approssimativamente settanta genotipi di luppolo autoctono reperito in provincia di Modena, ma anche in altre diverse località emiliane e non. Oggi non esistono produzioni di luppolo Italiano, ma non è sempre stato così: documenti storici testimoniano coltivazioni di questa pianta nel territorio comunale di Marano tra XVII e XIX secolo. Viene da chiedersi perché in un territorio di assoluta cultura vinicola fosse coltivato il luppolo. La motivazione si trova tra le pagine della storia del territorio modenese.

STORIA

La famiglia Montecuccoli, molto vicina alla corte d’Austria ed alla famiglia d’Este, possedeva già nel 1630 queste terre. Il principale esponente della famiglia fu Raimondo, condottiero, letterato, Gran Maresciallo e Conte dell’Impero d’Austria che, oltre ad abile ufficiale, si dimostrò saggio possidente facendo prosperare il proprio feudo. La forte influenza asburgica sulla casata non si limitava all’ambito politico, ma si dimostrava esplicitamente nella cultura e – come spesso accade – attraverso le abitudini alimentari. Si attribuisce infatti alla passione del Marchese per la nordica bevanda l’avvio di una coltivazione di luppolo importato dai grandi campi di produzione imperiali. I risultati della coltura furono incoraggianti; nel corso degli anni fu apprezzata da birrai locali e stranieri e addirittura premiata ad un’esposizione internazionale tenutasi nel 1876 a Haguenau, in Alsazia. Molti anni dopo, nel frizzante e propositivo contesto che caratterizza oggi il settore delle birre artigianali, il progetto cerca di recuperare questo luppolo modenese, la cui storia si perde nella leggenda…

IL LUPPOLO ITALIANO OGGI

Nel nostro campo sperimentale sono oggi coltivate circa 80 varietà selvatiche italiane selezionate, oltre che a diverse varietà straniere (americane, britanniche, polacche e tedesche). Le varietà selvatiche sono state analizzate e confrontate con quelle commerciali riscontrando risultati positivi e molto incoraggianti.

Nel 2014, grazie all’esperienza e alle conoscenze maturate nel campo sperimentale, è stata avviata la prima parcella di produzione da 3 ettari, estesa negli anni fino ai 7,5 attuali.

Ma non ci fermiamo qua! Entro fine 2018 saranno piantumati altri 3,5 ha riuscendo così a coprire molte delle varietà commerciali americane, tedesche e inglesi oltre che le nostre varietà italiane: Mòdna, Æmilia e Futura.

GUARDANDO IL FUTURO

Nei primi anni di sperimentazione trascorsi, in forma di coltivazione estesa, sono state valutate più approfonditamente la resa, il profilo aromatico e chimico delle varietà inizialmente testate; riuscendo a identificare quali si possano adattare meglio al nostro territorio.  Stiamo anche realizzando presso la nostra sede, in collaborazione con l’Università di Parma, una serra indoor di 25 m² allo scopo di velocizzare le attività di breeding e raggiungere il terzo step del progetto di ricerca: incrociare le prime genetiche autoctone per ottenere strein nuovi.

Per il periodo 2018-2020 IHC sta progettando una nuova sede di processazione, un luogo designato ad hoc per ospitare e rendere il più efficienti possibili i passaggi di raccolta, esfogliazione, essicazione, pellettizzazione e refrigerazione; veri nodi cruciali nella qualità finale.  Entro la fine del 2022 abbiamo l’obiettivo di raggiungere una superficie di 20 ettari di luppolo coltivati per una produzione complessiva di 30-35 tonnellate di luppolo secco a stagione.

Si tratta di un progetto ambizioso che si incastra perfettamente nella grande crescita, culturale ed economica, che il movimento birrario sta determinando in Italia e che se adeguatamente supportato dalle istituzioni locali potrà dare grandi frutti… Ma forse è meglio dire coni!